venerdì 3 giugno 2011

Ho qualcosa da dirti


Il romanzo di Hanif Kureshi Ho qualcosa da dirti è la storia di uno psicanalista londinese che parla di sè, di tutto l’ambiente londinese di questi anni e del suo migliore amico, un regista, Henry. Sono entrambi sulla cinquantina ed entrambi “risentono” di amori e matrimoni andati a male o semplicemente perduti. L’amico ha “perso” il desiderio e la cosa che più gli brucia è che vive con il figlio ventenne che invece rimorchia quasi ogni sera una nuova partner.
 Lo psicanalista dice a Henry che non c’è da preoccuparsi, il desiderio è Inestinguibile, può diventare invisibile, assentarsi per un po’, ma alla fine vince lui.

E di sé racconta che la forma maggiore di perversione può essere proprio la castità, il rinunciare perché tutto è troppo complicato e più si diventa grandi e più si sentono le risonanze, le smarginature, le ricadute e le conseguenze del desiderio.

Come se il nostro corpo si ingrandisse in maniera spropositata, tanto da impedirci il contatto con altri corpi. Soprattutto questa osservazione è degna di nota.C’è un peso psichico del corpo che cambia con le fasi della vita. Il corpo diventa molto di più abitato, diventa molto di più ”io” dall’interno. Per questo gli è più difficile oggettivarsi, darsi come se fosse un oggetto che può essere affidato a mani altrui.

Forse le donne sono più capaci di questa trasformazione, mentre gli uomini, destinati apparentemente a prendere, riescono a farsi prendere solo come dei narcisi, ma non ad abbandonare il peso di un corpo che li trascina verso l’introspezione. 

C’è in tutto questo un analfabetismo maschile, ma anche molto pudore. Gli uomini non sono capaci di giocarsi  il narcisismo all’esterno, di farne una cosmetica. Il pudore maschile è sicuramente l’aver anche paura di essere risucchiati da un corpo materno e più gli uomini vanno avanti nella vita e più la cosa risulta pericolosa. 



Ma a parte questa spiegazione c’è una componente antropologica: gli uomini spesso non sanno come ‘modulare” il proprio corpo rispetto al desiderio che cambia. Sono abituati a una logica di performance, pér cui se questa logica cambia è l’immagine del proprio corpo che non vi si adatta. Siamo in una società che offre pochi modelli capaci di evolvere. Dal divano Dolce e Gabbana sì passa al divano Hermès, ma non a modelli di uomini che si trasformano, maturano, invecchiano. Siamo vittime di un giovanilismo che è radicato nella nostra cultura molto profondamente che ha radici nel modello cristiano di uomo, in un giovane trentatreenne che non è mai invechiato e che ci ha lasciato un prototipo,un modello, che è anche diventato un modello di genere, un modello di uomo.

Un recente libro uscito negli stati uniticerca di capire che influenza ha avuto Clint Eastwoood nel modello di mascolinità americana. Sicuramente molta per quel che riguarda un uomo "dai modi bruschi" che cerca di mantenere una sua integrità, che cerca di tornare a una visione di uomo come modello di comportamenti dignitosi. Siamo ancora all'interno di un discorso da "eroe".



Un modello che da Gesù Cristo a Garibaldi e a Che Guevara non propone direttamente una relazione con il corpo femminile, anzi la sfugge per proporsi come poco raggiungibile.. Il corpo dell'eroe non fa l'amore, se non per "riposarsi". Una forma di fuga dalla performance anche questa. I corpi maschili nell'amore sono quelli del Don Giovanni, quelli del trickster, da PeerGynt a tutti i giovani dei romanzi di formazione. Sono corpi "fissati" in una postura , congelati in un'epica della fuga o del furto, della vittoria sulla donna che vorrebbe prenderli.


Inconsumabili e per questo incapaci di trasformarsi, di farsi modellare dalle carezze femminili. (...)




Una delle tragedie della mascolinità contemporanea è l'incomunicabilità tra generazioni diverse di uomini. I ventenni non parlano con i trentenni, i sessantenni con i quarantenni e via dicendo,nessuno fa tesoro dei fallimenti e dei tentativi, dei balbettii e delle gioie acquisite. Si parla sì di molte cose tra uomini, ma molto poco di cosa si tratta quando è in gioco il desiderio, il suo esprimersi, il suo nascondersi, il suo ritrarsi. Non che gli uomini debbano fare dei gruppi di autocoscienza, perchè "medicalizzare" il desiderio trasformandolo in problema di cui parlare fa smarrire la vera "terapia del desiderio", che è il modo di non esserne travolti, ma quello di riuscire a fare sull'onda che trascina un po' di difficile divertente surf.

Eppure tra le impotenze e le paure di impotenza dei ventenni e quelle dei cinquantenni ci sono molti punti in comune, molte cose che potrebbero creare complicità, commozioni, comunioni. Una delle prime cose da dirsi sarebbe il modo con cui si è imparato a fare i conti con i propri limiti e con la propria fantasia. (...)

Nel romanzo di Philip Roth Il professore del desiderio c'è un altro tema, quella crudeltà del desiderio che fa sì che esso fluttui, svanire e trasformare l’oggetto della più violenta passione io un oggetto del tutto indifferente. Roth io tutta la sua opera ha raccontato con estrema onestà queste cifre del desiderio maschile. È probabile che questo "cinismo” sia legato alla rivoluzione sessuale degli anni 70 , in cui gli uomini per primi lasciavano cadere modelli morali per assumere l'idea del sesso sopra ogni ragione.

E le donne hanno seguito e poi hanno prerso a volte il sopravvento. C'è una componente epocale che ha ripulito il desiderio di ogni ipocrisia, ma che ha influito in maniera potentemente negativa sulle relazioni.

Non si può fare la morale al desiderio, questo è uno dei messaggi di Philip Roth, ma certamente il desiderio è inscritto nella sua etica.



Ed è quella che non accetta le regole della solitudine e del narcisismo fino in fondo. La forza che ci spinge fuori di noi è una forza a “evaderci”, nel senso dell’evasione secondo Lévinas.

 Il desiderio ci fa dire “uffa” rispetto al tenere tutto sotto mano, tutto sotto controllo. Nella fantasia più spinta c’è la traccia che qualcuno ha lasciato sulla nostra pelle.

ll problema oggi è come trattare tutto questo con un discreto ottimismo, con la speranza che da un lato il desiderio faccia sentire le sue ragioni e dall'altro che queste ragioni non vengano banalizzate, ridotte a puri sfoghi di esseri intasati.

E' possibile e le età del desiderio aiutano in questo senso, perchè nelle sue variazioni si trovano la ricchezza, l'inesauribilità, l'ambiguità ricca di malintesi di cui abbiamo bisogno per rischiare la vita nelle relazioni.


"Il punto G dell'uomo" pubblicato da "Nottetempo"